Monitorare le condizioni del mare nell’Area Marina Protetta del Plemmirio, migliorare le conoscenze sugli organismi marini dell’Area Marina Protetta Plemmirio, mappare le praterie di Posidonia oceanica, ricercare molluschi vivi e rarissimi come la Pinna nobilis o la presenza di specie ittiche non native.

Sono stati questi gli scopi principali perseguiti con il  progetto MAP.PLEMM – MAPPing PLEMMirio, una iniziativa in cui è stata selezionata anche la riserva marina siracusana nell’ambito di MedPAN Habitat Mapping Call for Small Project e finanziato da MAVA Foundation.

Il progetto guidato dal Consorzio Plemmirio in partenariato con European Research Institute (ERI), è arrivato a conclusione.

E’ Iniziato nel luglio scorso con una intensa attività a mare che ha visto la realizzazione delle mappe della componente biotica (cioè della parte viva animale e vegetale) e di quella abiotica (le caratteristiche chimiche e fisiche) dell’Area Marina. In particolare, le attività relative alla componente biotica hanno permesso di tracciare il limite superiore della prateria di Posidonia oceanica (una pianta marina endemica che svolge un ruolo fondamentale nell’ecosistema marino costiero), ricercare individui vivi del mollusco Pinna nobilis (un bivalve endemico che è quasi completamente estinto nel Mediterraneo a causa di un parassita) e ricercare la presenza di specie ittiche non-native.

Per quanto riguarda la componente abiotica, sono state monitorate alcune caratteristiche dell’acqua di mare, quali temperatura, salinità, conducibilità, pH, ossigeno e clorofilla.                                                                                                      

La Posidonia oceanica, si evidenzia nel progetto “sebbene spesso confusa con le alghe, è una fanerogama marina, ovvero una vera e propria pianta che produce fiori e frutti. Si trova soltanto nel mar Mediterraneoed è una specie protetta”.

Vari gli spunti di approfondimento in materia che sono stati focalizzati su una serie di pannelli inseriti, e appesi, da oggi, nei locali del Molo Didattico nella sede del  Consorzio e che saranno ora a disposizione dei visitatori e delle scolaresche ospiti.

La Posidonia, si evidenzia ancora nello studio, è presente più comunemente su substrati sabbiosi, ma anche su fondi detritici e rocciosi e può crescere fino a 40m di profondità. Quando la Posidonia incontra condizioni ambientali favorevoli, colonizza vaste aree di fondo marino, formando ampie distese chiamate praterie. La prateria di Posidonia riveste un ruolo fondamentale nell’ecologia generale delle aree costiere. Vale la pena ricordare che  questa pianta marina costituisce un polo di biodiversità ed è rifugio per ¼ delle specie di flora e fauna del Mediterraneo anche se copre meno dell’1% dei suoi fondali; è fonte di ossigeno (un solo metro quadrato di prateria è in grado di produrre per fotosintesi 14 litri di ossigeno al giorno), rappresenta un’area di riproduzione e primo accrescimento di molte specie ittiche, funge da trappola per i sedimenti favorendo la trasparenza delle acque, con la sua massa fogliare riduce l’idrodinamismo, difendendo così le spiagge dall’erosione e produce elevate biomasse che vengono esportate sotto forma di foglie morte anche oltre i 50-100 m di profondità, in ambienti privi o quasi di luce.

La Posidonia inoltre viene  considerata un buon bioindicatore della qualità delle acque marine costiere, grazie alla sua sensibilità ai cambiamenti ambientali e oggi, emerge dallo studio, le praterie di tutto il Mediterraneo sono in regressione principalmente a causa dell’impatto antropico (inquinamento, pesca a strascico, ancoraggio delle imbarcazioni).

Il progetto MAP.PLEMM. ha permesso di tracciare il limite superiore delle praterie di Posidonia presenti nel versante Sud dell’Area Marina Protetta, in particolare nella zona B, tramite rilevazioni in situ effettuate da operatori subacquei con l’ausilio di un GPS.

Nell’intento di salvaguardare le praterie a Posidonia, assume un’importanza basilare proprio “la definizione delle aree occupate dalle praterie, studiarne gli aspetti strutturali, funzionali ed ecologici, mediante indagini di campo specifiche che permettano di ottenere cartografie aggiornate e di dettaglio”.

Grande protagonista dello studio anche la Pinna nobilis  il più grande mollusco bivalve del Mediterraneo, può arrivare anche ad un metro di lunghezza,  vive per lo più all’interno di praterie di Posidonia, ma anche su fondali detritici, sabbiosi o fangosi e nel coralligeno. Si può incontrare da qualche metro fino a circa 40 metri di profondità. E si ancora al substrato mediante i filamenti del bisso. È endemica del Mar Mediterraneo e può raggiungere i 30 anni di vita. È stata riconosciuta come specie protetta e misure per la sua salvaguardia sono perseguite mediante la Direttiva Habitat e la Convenzione di Barcellona. “Nonostante ciò – scrivono gli studiosi –  è spesso soggetta a prelievi illegali da parte dell’uomo ad uso alimentare ed ornamentale e a uccisioni accidentali dovute ad azioni invasive”.

A partire dall’autunno del 2016, si annota, si sono verificati eventi di mortalità di massa delle popolazioni di Pinna nobilis del Mar Mediterraneo occidentale e centrale; successivamente queste morie hanno colpito le popolazioni dell’Adriatico, del mar Ionio e mar Egeo. Si pensa che il responsabile sia un protozoo parassita (Haplosporidium pinnae), ma nuove ricerche hanno evidenziato un secondo possibile responsabile (un batterio del genere Mycobacterium). A causa di questi eventi di mortalità massiva, la Pinna nobilis è stata inserita a Ottobre 2019 nella Lista Rossa della IUCN come specie a rischio critico di estinzione.

Il progetto MAP.PLEMM. ha raccolto informazioni sullo stato della popolazione di Pinna nobilis all’interno dell’Area Marina Protetta Plemmirio, per capire quanti individui ci fossero e dove fossero situati. Ebbene, in totale sono stati trovati si legge nel rapporto “5 individui morti e 1 solo individuo vivo, situato nella zona A della riserva”. Ovvero nella zona a protezione integrale.

Buone notizie invece sul fronte della eventuale presenza di specie aliene nel mare del Plemmirio. Specie a volte definite come esotiche, introdotte o non native introdotte intenzionalmente o non intenzionalmente in una nuova regione dove possono diventare invasive. “Per individuare la presenza di specie ittiche invasive – si legge nel rapporto del progetto – nelle acque del Plemmirio si è svolto il visual census, ovvero una tecnica di campionamento non invasiva che si svolge in immersione e permette di censire la fauna ittica semplicemente con l’osservazione delle specie e la registrazione degli avvistamenti”.

Durante i visual census  in Area marina Protetta Plemmiriosvolti nell’ambito del progetto MAP.PLEMM “non si è registrata la presenza di nessuna specie ittica invasiva”.

Infine, lo studio ha permesso di realizzare una serie di informazioni “sull’ambiente fisico

in cui le specie dell’Area Marina Protetta Plemmirio vivono” con particolare riguardo ad alcuni importanti  variabili ambientali come la salinità, la conducibilità, la temperatura, l’ossigeno, il pH e Clorofilla. Le misurazioni di queste variabili sono state realizzate tramite uno strumento (una sonda multiparametrica) che è stato calato in acqua in verticale, dalla superficie al fondo, in 12 stazioni di campionamento, (6 stazioni nel versante nord e 6 nel versante sud), ottenendo un profilo delle variabili lungo la colonna d’acqua.

L’utilità di tale monitoraggio delle caratteristiche fisico-chimiche delle acque serve ad  ottenere delle serie temporali di dati che permettano di seguire l’andamento di queste variabili, soprattutto in vista dei rapidi cambiamenti climatici in atto.

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