Sono 9 gli arresti nell’ambito dell’operazione coordinata dalla Procura di Catania e condotta dalla Guardia di finanza che ha stroncato un vasto traffico di gasolio dalla Libia all’Italia. Sei sono finiti in carcere, tre ai domiciliari, quali organizzatori e componenti dell’associazione a delinquere internazionale finalizzata al riciclaggio di gasolio libico rubato dalla raffineria libica di Zawyia (40 chilometri a ovest da Tripoli) e destinato, dopo miscelazione, ad essere immesso nel mercato italiano ed europeo anche come carburante da autotrazione. Il gruppo criminale, che si e’ avvalso anche della complicita’ di miliziani libici armati dislocati nella fascia costiera confinante con la Tunisia, e’ stata altresi’ contestata l’aggravante mafiosa considerata la presenza nell’organizzazione di Nicola Orazio Romeo, ritenuto vicino alla cosca mafiosa dei Santapaola-Ercolano. In un anno di indagini, i militari sono riusciti a documentare dettagliatamente oltre 30 viaggi nei quali sono stati importati via mare dalla Libia oltre 80 milioni di chili di gasolio per un valore all’acquisto di circa 30 milioni di euro. Tra i soggetti coinvolti nel traffico internazionale di prodotti petroliferi libici e destinatari della misura in carcere figurano l’amministratore delegato della Maxcom Bunker Spa Marco Porta, 48 anni, Fahmi Mousa Saleem Ben Khalifa, detto “il Malem” (il capo), nativo di Zuwarah (Libia), fuggito dal carcere nel 2011 con la caduta del regime di Gheddafi dove stava scontando una condanna a 15 anni per traffico di droga; ha guidato una milizia armata stanziata nella zona costiera al confine con la Tunisia ed e’ stato recentemente posto agli arresti per contrabbando di carburanti da parte delle Autorita’ libiche; il catanese Nicola Orazio Romeo, 45 anni,, indicato da alcuni collaboratori di giustizia quale appartenente alla frangia mafiosa degli Ercolano e ritenuto, in una conversazione captata tra gli indagati, quale soggetto della “mala, quella giusta, quella che non lo tocca nessuno”. Romeo e’ parte integrante della componente maltese dell’organizzazione la cui funzione primaria e’ stata quella di organizzare i trasporti del gasolio libico via mare; i cittadini maltesi Darren Debono, 43 anni, e Gordon Debono, 43 anni; i maltesi, con Romeo hanno curato il trasporto via mare gestendo, al contempo, il reticolo di societa’ commerciali coinvolte nel business; il libico, originario di Zuwara, Tareq Dardar, quale collettore dei pagamenti e dei flussi finanziari veicolati su conti esteri collegati a Ben Khalifa. Per coloro che non sono stati rintracciati nel territorio nazionale, la Procura distrettuale ha richiesto l’emissione di un mandato d’arresto internazionale. L’amministratore delegato della Maxcom Bunker Spa, societa’ con sede legale a Roma, attiva nel commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi e di bunkeraggio delle navi, si e’ avvalso della complicita’ di alcuni dipendenti della societa’, raggiunti dalla misura cautelare degli arresti domiciliari. Si tratta di Rosanna La Duca, 48 anni, consulente esterna della Maxcom Bunker, Stefano Cevasco, 48 anni, addetto all’ufficio commerciale, Antonio Baffo, 61 anni, responsabile del deposito fiscale di Augusta. Il gasolio libico – trafugato dalla N.o.c. (National Oil Corporation), la compagnia petrolifera nazionale della Libia, riciclato e immesso, all’insaputa dei consumatori finali, anche presso distributori stradali – e’ un carburante avente tenore di zolfo minore di 0,1% ed e’ destinato al “bunkeraggio” ossia al rifornimento, in ambito portuale, di carburanti o di combustibili ad unita’ navali. Il prodotto, dopo miscelazioni presso uno dei depositi fiscali della Maxcom di Augusta, Civitavecchia e Venezia, veniva immesso nel mercato italiano ed europeo (Francia e Spagna in particolare) ad un prezzo similare a quello dei prodotti ufficiali pur essendo la qualita’ dello stesso inferiore. Il gruppo mirava ad acquisire la disponibilita’ di un flusso continuo di gasolio libico ad un prezzo ribassato rispetto alle quotazioni ufficiali (in alcuni casi anche fino al 60%) cosi’ garantendo alla societa’ italiana acquirente un margine di profitto costante e piu’ elevato. Gli ideatori dell’affare internazionale, al fine di ostacolare la ricostruzione dei passaggi materiali, documentali e finanziari sottesi al commercio di gasolio, hanno costruito un variabile sistema di societa’, a piu’ livelli, poste fittiziamente tra venditori e acquirenti finali. La frode e’ stata attuata mediante il ricorso a falsa documentazione attestante inizialmente l’origine saudita del gasolio “libico” e poi, successivamente, la non veritiera cessione del carburante da una delle societa’ sussidiarie della National Oil Corporation. In una fase successiva, a seguito dell’improvvisa attenzione mediatica sul fenomeno, l’organizzazione ha mutato il sistema di frode: il prodotto non era piu’ accompagnato da certificati attestanti la falsa origine saudita ma da falsi certificati libici, realizzati attraverso la pratica corruttiva in quel Paese. E’ stato accertato che Ben Khalifa, controllando le acque antistanti i porti libici di Abu Kammash e Zwarah, consentiva a navi cisterna di rifornirsi del gasolio proveniente dalle raffinerie attraverso pescherecci appositamente modificati e altre navi cisterna di piccole dimensioni. Alcune di queste navi, giunte al largo di Malta, procedevano ad un ulteriore trasbordo su natanti nella disponibilita’ di societa’ maltesi, le quali s’incaricavano poi di trasportarlo presso porti italiani per conto della societa’ Maxcom Bunker. I natanti utilizzati per l’illecito trasporto disattivavano il dispositivo di identificazione al fine di celare la loro reale posizione. Quale prima sperimentazione effettuata in Italia, i finanzieri del Gico del Nucleo Polizia tributaria di Catania hanno eseguito l’intercettazione di conversazioni tra telefoni satellitari operando a bordo dei mezzi aeronavali del Comando operativo aeronavale e con il contributo del Servizio centrale investigazione criminalita’ organizzata. Per quanto riguardala successiva distribuzione sul territorio nazionale del carburante importato dalla Libia dalla Maxcom Bunker, le Fiamme gialle catanesi sono riuscite a tracciare, in alcuni casi, la destinazione finale del gasolio immesso in Sicilia e in Campania riuscendo, al contempo, a smascherare una distinta associazione a delinquere finalizzata alla sistematica evasione dell’Iva e alla vendita a distributori stradali “compiacenti” – ubicati in Catania e provincia – di gasolio “extra-rete” frodando consumatori e compagnie di bandiera. Tale struttura risulta composta da societa’ cartiere ubicate in Catania e nel siracusano nonche’ da depositi fiscali nel trapanese e depositi di stoccaggio nel catanese unite tra loro da apparenti rapporti commerciali attraverso l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. L’articolato sistema di frode ha comportato un mancato incasso per il bilancio nazionale e quello comunitario di imposte (Iva) per un ammontare di oltre 11 milioni di euro. Tra gli indagati figurano gli amministratori di fatto delle societa’ coinvolte, gia’ recentemente investigati in similari inchieste dirette da questa Procura e condotte dalle Fiamme Gialle di Catania, ai quali sara’ notificato un avviso di conclusione delle indagini. Parte del gasolio illecitamente trafugato dalla Libia, dalla Sicilia e’ stato destinato per la distribuzione anche a societa’ di stoccaggio campane. Il gasolio “libico”, dopo miscelazione, e’ giunto, in alcuni casi, anche presso i distributori stradali ad un costo assolutamente “proibitivo” per gli operatori del settore leali costretti a soccombere al cospetto di societa’ illecite che hanno messo a frutto l’evasione d’imposte e il minore onere d’acquisto della materia prima. L’inchiesta “Dirty Oil” ordinata dalla procura distrettuale di Catania “e’ stata avviata un anno fa dopo una denuncia di Eni che ha segnalato delle strane anomalie negli impianti di distribuzione carburanti dislocati nel catanese”. Lo ha riferito il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, in una conferenza stampa in cui ha fatto il punto sull’indagine. L’Eni, ha spiegato Zuccaro, in questa indagine figura “come parte lesa, ignara del traffico di gasolio trafugato in Libia e soprattutto non a conoscenza dell’operato di alcuni titolari di distributori che figurano nell’inchiesta e ai quali e’ stato notificato un fine indagine”. 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