Un uomo di 30 anni, originario di Pachino, Giuseppe Petralito, è stato trovato privo di vita nella sua cella, nel carcere di Rebibbia, a Roma. La Procura ha disposto l’autopsia sul cadavere: il conferimento dell’incarico al medico legale è stato dato nelle ore scorse mentre l’esame sarà effettuato nella giornata di lunedì. 

L’uomo è stato rinvenuto impiccato nella sua cella singola situata al primo piano del Reparto G12.

La tragedia è stata scoperta, venerdì, dagli agenti della polizia penitenziaria intervenuti per soccorrere la vittima col cappio al collo. Da capire i motivi del gesto del pachinese in un reparto coinvolto in rivolte e incendi appiccati dai detenuti, come quello dell’aprile scorso.

Giuseppe Petralito stava scontando una pena definitiva per diversi reati legati al mercato della droga. Spaccio perlopiù. In carcere lavorava, si occupava della spesa per gli altri detenuti. Faceva il «portantino», così dicono. Impegni, responsabilità, che scandivano la sua quotidianità.

“Vivace, gioioso“, racconta l’edizione romana del quotidiano “La Stampa“. “Qualche scoramento all’inizio della detenzione, legato alla solitudine. Alla lontananza dalla figlia adolescente. Poi inizia a scriversi con una donna. Lei fuori dal carcere, lui dalla cella. Lettere seguono altre lettere. Racconti, confidenze. Un’amicizia che diventa qualcosa di più. C’era il problema dei colloqui. Interviene il garante, intervengono gli avvocati e la coppia inizia a incontrarsi ogni giovedì“.

Proprio giovedì, poi, quella che avrebbe dovuto essere una buona notizia: Giuseppe Petralito sarebbe tornato libero nel 2026 e non nel 2030.

“Eravamo riusciti ad ottenere la continuazione dei reati. Stavamo già valutando i permessi e così via“, spiega la sua legale, Federica Carmen Gomma. “Non so cosa sia successo dall’oggi al domani. Siamo in una situazione carceraria disastrosa. Servirebbe un supporto di vicinanza, di ascolto di attenzione ai detenuti. Ma gli operatori sono pochi e chi è fragile viene abbandonato a sé stesso“.

L’avvocata Carmen Gomma ha intenzione di andare sino in fondo alla vicenda finita sul tavolo del pubblico ministero, Giovanni Battista Bertolini.

Sull’episodio, ancora poco chiaro, interviene Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia Penitenziaria: “Si tratta di una carneficina che ha evidenti responsabilità politiche e amministrative 14.500 detenuti in più rispetto ai posti disponibili, 18mila unità mancanti alla polizia penitenziaria, carenze nell’assistenza sanitaria e psichiatrica, illegalità diffusa e disorganizzazione imperante non si possono affrontare con le chiacchiere del Governo, cui assistiamo anche in queste ore. Il commissario straordinario all’edilizia penitenziaria è già fallito negli anni passati e di certo, anche questa volta, per stessa ammissione del Guardasigilli, Carlo Nordio, non potrà produrre effetti, se non a lungo termine“.

Sul presunto suicidio a Rebibbia, sul quale indaga la Penitenziaria, è intervenuta fra gli altri la senatrice Avs Ilaria Cucchi per la quale “nelle carceri si muore per mancanza di spazio, di aria, di assistenza sanitaria e psicologica, e per disperazione. Servono misure alternative alla detenzione, ridurre gli ingressi per i reati minori». E per Paolo Ciani, capogruppo Pd-Idp alla Camera e segretario di Demos, i suicidi dimostrano l’esistenza di «un sistema malato, che non solo non risponde ai dettami della Costituzione, ma ha trasformato il carcere in luogo invivibile“.

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com