Ottobre è un mese che dovrebbe ricordare a ogni donna quanto sia importante la diagnosi precoce contro questa neoplasia e a rappresentare un momento in cui ci si ferma e ci si sottopone a una mammografia, o almeno la si prenota, e ci si documenta sul proprio rischio e su quali strumenti si hanno a disposizione.

La LILT, Lega italiana per la lotta contro i tumori, dedica l’intero mese alle campagne di sensibilizzazione ed educazione sul tema.

“Se chiedessimo alle donne italiane, se chiedeste a voi stesse, alle vostre madri, sorelle, amiche, se si sono sottoposte a un test di screening per il tumore alla mammella negli ultimi due anni, molte vi risponderebbero di no“. Questo, in sintesi il messaggio che lanciano i medici per invogliare le donne a sottoporsi allo screening.

La pandemia e le misure prese per contenerla, infatti, hanno in qualche modo avuto un importante impatto negativo nell’offerta di esami e test per la diagnosi precoce.

Per esempio, nel 2020, il 37,6% di donne in meno rispetto all’anno precedente si è sottoposta a una mammografia.

Il tumore alla mammella è il più diagnosticato nelle donne, secondo gli ultimi dati disponibili sui tumori in Italia, quelli del rapporto “I numeri del cancro 2021”  55.000 donne nel 2020 hanno ricevuto una simile diagnosi e nel 2021 sono stimati 12.500 decessi.

Nel nostro Paese una donna su otto si ammala di tumore nel corso della vita e in Italia vivono circa 834.200 donne che sono sopravvissute a questo tumore: la sopravvivenza netta a 5 anni dalla diagnosi è dell’88% (ovvero 88 donne su cento a cui viene diagnosticato il tumore sopravvivono almeno 5 anni – è una misura standard – dopo la diagnosi).

A fare una grande differenza tra il rientrare o meno in questa percentuale è il riuscire a individuare il tumore nelle sue fasi iniziali, la cosiddetta diagnosi precoce appunto.

Lo stadio della malattia al momento della diagnosi ha, infatti, un forte impatto sulla sopravvivenza a 5 anni.

Ecco perché ci si preoccupa tanto degli esami saltati in relazione alla pandemia e perché è molto importante sottoporsi regolarmente al test di screening mammografico cominciando da subito: da questo mese che è il mese per la prevenzione del tumore al seno e vede molte strutture e istituzioni attivarsi per raggiungere la maggior parte di donne possibile.

La mammografia è essenzialmente una radiografia del seno e dell’area circostante che consente di identificare formazioni anomale anche molto piccole.

La mammografia si esegue stando in piedi, a petto scoperto posizionando il seno su una piastra mentre un’altra piastra lo schiaccia un poco per tenerlo fermo durante la radiografia. Si effettua una radiografia frontale e una laterale per un totale di quattro immagini, due per seno. Può essere una procedura spiacevole, resta tuttavia un test di screening poco invasivo e breve.

I risultati non si hanno subito: non è il tecnico che stila il referto, ma lo specialista.

È bene quindi chiedere al momento dell’esame quando aspettarsi una risposta, che nella maggior parte dei casi risulta essere un esito negativo dell’esame e quindi un seno libero da formazioni.

Infatti, solo 7 donne su 100 in media vengono richiamate dopo il test per ulteriori accertamenti, necessari non per forza perché è stata riscontrata la presenza di un tumore quanto perché i risultati sono poco chiari o necessitano di un approfondimento.

In questi casi – a seconda del problema riscontrato – si ripete la mammografia o si procede con una mammografia ingrandita solo della parte che ha insospettito il radiologo, oppure si opta per un’ecografia o infine, in alcuni casi, con una biopsia, il prelievo e l’analisi di un campione di cellule dell’area sospetta.

Solo una piccolissima percentuale di quante proseguono con gli esami di accertamento riceve poi una diagnosi di tumore.

La mammografia, come altre procedure mediche ha i suoi limiti e può, per esempio, portare a individuare lesioni sospette che poi si rivelano falsi positivi (purtroppo, bisogna dirlo, per questi stessi limiti può portare anche a falsi negativi) o tumori indolenti che non crescerebbero spontaneamente in maniera da essere sintomatici o pericolosi per la salute della donna, portando a una cosiddetta “sovradiagnosi”.

Questo avviene tra il 10% e il 16% dei casi di risultati positivi e hanno come conseguenza il cosiddetto sovratrattamento, ovvero il sottoporre donne a interventi e terapie che non sono giustificate dal rischio rappresentato dal tumore indolente individuato.

Tutte le donne?

Come detto non a tutte le donne è raccomandato, o non lo è nella stessa misura, lo screening mammografico, per lo meno secondo le linee guida della European Commission Initiative on Breast Cancer (ECIBC o iniziativa della Commissione europea sul cancro al seno) recentemente aggiornate.

Stando a questo documento – basato sulle evidenze scientifiche raccolte negli ultimi anni – le donne a cui è fortemente consigliato di sottoporsi a mammografia ogni due anni sono quelle tra i 50 e i 69 anni.  

Per questa fascia di età, infatti, i vantaggi dello screening sono ancora evidentemente superiori ai rischi di sovradiagnosi.

E per le donne in questa fascia di età sono previsti programmi di screening gratuiti in Italia.

Alle donne tra i 45 ei 49 anni e tra 70 e i 74 anni che non hanno una familiarità con un tumore al seno (né madri, sorelle o nonne hanno ricevuto una diagnosi di tumore al seno o all’ovaio) e non riportano sintomi (noduli palpabili e/o visibili, cambiamenti del seno o del capezzolo in particolar modo in uno soltanto), lo screening è consigliato ogni 3 anni circa, ovvero ogni 2-3 anni per la fascia 45 – 50 e ogni 3 anni in quella 70 – 74, ma non altrettanto fortemente.

Come ricorda anche l’AIRC,  per loro è previsto uno screening specifico a partire dai 25 anni o almeno da 8 anni dopo la radioterapia che include un risonanza magnetica con mezzo di contrasto annuale associata a una mammografia bilaterale o a una tomosintesi con ricostruzioni 2D.

Esistono, infine, dei  fattori di rischio modificabili di cui essere consapevoli:

  • consumo di alcol,
  • sovrappeso,
  • obesità,
  • sindrome metabolica,
  • scarsa attività fisica,
  • fumo di sigaretta,
  • assenza di gravidanza
  • allattamento al seno
  • assunzione di una terapia ormonale sostitutiva in menopausa.

“Molti di questi sono fattori modificabili – assicurano i senologi – poiché aumentano il rischio di sviluppare non solo il tumore alla mammella ma diversi altri tipi di tumore e di patologie“.

“Modificabile – concludono – vuol dire che dipende da scelte e da stili di vita che abbiamo il potere di cambiare“.

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