Il gip del tribunale di Siracusa, Salvatore Palmeri, con un provvedimento, ha disposto lo stop del conferimento dei fanghi provenienti dalle imprese del Petrolchimico di Priolo, nel depuratore consortile Ias di Priolo, al centro di una inchiesta giudiziaria della procura di Siracusa per disastro ambientale. L’impianto, che ospita anche i reflui civili di Priolo e Melilli, è sotto sequestro.

Nei mesi scorsi il Governo, per garantire la continuità produttiva delle aziende della zona industriale, aveva emesso il cosiddetto “Salva Isab”, ritenendo gli impianti ex Lukoil ora Goi Energy e lo stesso depuratore, siti di interesse nazionale, assolutamente strategici nel settore energia.

Al tribunale di Siracusa si sta celebrando l’udienza preliminare del processo a carico di tecnici e amministratori della società mista (pubblico-privata) IAS spa e di Isab (ex Lukoil), Sonatrach, Sasol e Versalis, i cosiddetti “grandi utenti industriali”. Secondo i magistrati della Procura, tutti sarebbero stati al corrente del fatto che il depuratore consortile IAS (Industria acqua siracusana) non sia adatto a ripulire i reflui pericolosi dell’industria petrolchimica.

Anzi, secondo l’accusa, IAS inquina. E immette in atmosfera tonnellate di sostanze pericolose come il benzene. Per questi motivi IAS è sotto sequestro dall’estate 2022 e il gip ha imposto, insieme al sequestro, anche il distacco dell’industria, al fine di interrompere l’inquinamento. Impossibile farlo subito, hanno risposto i grandi utenti. Alcuni dichiarando che sarebbero stati necessari anni perché il distacco potesse avvenire in sicurezza.

Tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023, il governo si interessa alla questione. Anche perché il futuro del petrolchimico di Siracusa è su tutti i media nazionali: la raffineria Isab è, ai tempi, di proprietà del colosso russo Lukoil. Con l’embargo al petrolio moscovita, imposto come sanzione internazionale per la guerra in Ucraina, si teme la chiusura dei battenti della raffineria. Capace di trascinare con sé l’intero polo – e i suoi diecimila lavoratori, tra diretti e dell’indotto – e la sicurezza energetica dell’Italia intera.

Il gip di Siracusa, sentito il parere della procura, lo contesta. Lo fa con un provvedimento depositato il 31 luglio e notificato anche alla presidenza del Consiglio dei ministri, al ministero dell’Ambiente e a quello del Made in Italy, perché anche a loro – secondo il Salva Ilva – spetta il diritto di fare ricorso di fronte al tribunale di Roma.

Ma nel giugno scorso, la Consulta ha dichiarato incostituzionale il provvedimento, in quanto le “misure governative sono costituzionalmente legittime soltanto per il tempo strettamente necessario per portare a compimento gli indispensabili interventi di risanamento ambientale”. Insomma, non è possibile, per i giudici della Corte costituzionale, andare oltre i 36 mesi.

Il gip del Tribunale di Siracusa, evidenziando le motivazioni della sentenza della Consulta, ritiene che, allo stato, non vi sono condizioni per la salvaguardia e tutela ambientale. In un passaggio dell’ordinanza, spiega che “non vi sono nella fattispecie in esame, dunque, concrete misure gestionali adottabili al fine di mitigare il rischio per la salute e per l’ambiente derivante dall’immissione di reflui industriali in un depuratore privo di un sistema di pretrattamento e di un sistema di convogliamento delle emissioni diffuse”. E così il GIP “non autorizza la prosecuzione dell’attività produttiva come previsto dal decreto interministeriale del 12 settembre 2023” si legge nell’ordinanza.La questione, dunque, si sposta di nuovo nella Capitale, partendo dalle frasi contenute nel provvedimento del gip. “Nel caso di specie – si legge – non ricorrono le condizioni descritte dalla Corte Costituzionale per ritenere operante una legittima procedura di bilanciamento degli interessi in gioco”.

“Nella procedura in esame – va avanti il giudice – manca del tutto la valutazione del danno sanitario”, nonostante una sentenza della Corte di Giustizia Europea, in una sentenza del 25 giugno 2024 sull’Ilva di Taranto, abbia stabilito che “gli Stati membri sono tenuti a prevedere che una previa valutazione degli impatti dell’attività di installazione interessata tanto sull’ambiente quanto sulla salute umana” sia un atto necessario alla concessione delle autorizzazioni.

Infine, terzo e ultimo motivo, ricorda il gip che esiste un parere dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, nel quale i tecnici spiegano come alcune delle modalità di monitoraggio da prevedere nel caso del depuratore Ias siano “operativamente inapplicabili”. Per questo il giudice “non autorizza la prosecuzione dell’attività produttiva”.

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