“I conti della Regione siciliana sono in ordine”: l’assessore regionale all’Economia, Gaetano Armao, con queste parole ha commentato il via libera da Roma al rendiconto generale e al consolidato per il 2019 della Regione siciliana.

Ed effettivamente il governo regionale guidato da Nello Musumeci, sin dal suo insediamento, ha portato avanti con coraggio un’operazione verità sui conti che ha messo in luce il disastro perpetrato dai governi precedenti e che ha portato i siciliani a conoscenza della reale situazione sul fronte dell’indebitamento, degli sperperi e dei piani di risanamento annunciati ma mai messi in atto.

Bisogna riconoscere al governo Musumeci di avere finalmente cominciato quella azione di risanamento dei conti, di aver evitato di accendere mutui e di aver fatto una operazione di chiarezza sulla situazione economico-finanziaria della Regione.
E queste azioni sono state premiate dal Consiglio dei Ministri che dopo avere vagliato il rendiconto generale e il consolidato del 2019 della Regione siciliana ha deciso di non impugnare le due leggi.

I conti in ordine, però, da soli non bastano. Il riscatto economico e sociale della Sicilia passa per il radicale risanamento di un bilancio, quello regionale, che è ancora troppo ingessato da spese obbligatorie che lasciano agli investimenti margini di manovra troppo ristretti.
Certo, i debiti pregressi, creati da gestioni poco oculate dei governi passati, hanno lasciato una pesante eredità di cui non si può non tenere conto e che si vanno ad aggiungere alla gravissima crisi causata dall’emergenza pandemica.

Oggi, per noi, si presenta la possibilità di rialzarsi e colmare quel gap cronico nei confronti delle altre Regioni del Centro Nord attraverso i fondi del Pnrr, che dovranno essere utilizzati per investimenti, ad esempio per migliorare la rete delle infrastrutture.

La fotografia impietosa di quanto incidono le spese correnti sul bilancio della Regione siciliana emerge dal prospetto del bilancio 2021/2023 regionale: le spese per il 2021 sono pari a 18,1 miliardi, di cui più di 15 miliardi sono rappresentati dalle spese correnti (83%), 2,1 miliardi sono spese in conto capitale (11,6%) e 976 milioni per incremento di attività finanziarie.
Inoltre, ogni volta che si presenta un imprevisto finanziario, questo va a discapito proprio delle spese per gli investimenti.

Non è comunque solo siciliana la tendenza a destinare un scarsa percentuale delle spese per gli investimenti.
L’ufficio studi della Cgia rileva che quest’anno la spesa pubblica italiana “sfonderà” quota mille miliardi di euro, con 900 miliardi per la spesa corrente e il resto, poco più di 100 miliardi (107 per la precisione) per gli investimenti con una proporzione di 9 a 1.

In pratica, per tenere aperti gli uffici, per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici, le pensioni e per erogare i servizi di natura pubblica (sanità, sicurezza, scuola, trasporti, etc.), lo Stato spende per gli italiani quasi 3 miliardi di euro al giorno. Facendo le debite proporzioni in Sicilia la Regione ne spende al giorno poco più di 41 milioni di euro.

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Ma la cifra è destinata a salire: la giunta Musumeci, infatti, ha stanziato un tesoretto da 52 milioni di euro in vista del rinnovo dei contratti dei dipendenti regionali. Tesoretto che nelle buste paga del personale si tradurrà in un aumento che oscilla tra i 90 e i 140 euro al mese per ogni dipendente (in totale sono 11.848), mentre vacilla ancora il rinnovo del contratto degli 893 dirigenti regionali.

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Il Governo regionale dovrà al più presto affrontare la sfida di rendere più efficiente la macchina burocratica che serve per far funzionare la Pubblica amministrazione.

La Corte dei Conti e l’Anac hanno infatti certificato di recente che la Regione non è in grado di valutare l’utilità delle partecipate e di misurare la performance delle strutture burocratiche. Il mancato sviluppo della Sicilia, è un fatto acclarato, è strettamente legato alla mancanza di un apparato burocratico efficiente e veloce, in grado di dare risposte certe e competenti ai cittadini. E questa inefficienza costa in totale ai cittadini 10,5 miliardi di euro, a cominciare dai contenziosi che si vanno a creare: ad oggi la cifra di questo capitolo ammonta a 580 milioni di euro. Ma il danno non si ferma qui perché sono mille i rivoli in cui si perdono milioni di euro e ne elenchiamo alcuni: la spesa corrente della Regione ruota attorno agli stipendi dei dipendenti.

Nella relazione dei Corte dei Conti sul rendiconto generale della Regione siciliana (esercizio finanziario 2019) sono elencate le cifre a riguardo: 725 milioni per gli stipendi, 675 milioni di euro per le pensioni. Quest’ultimo dato comprende anche somme non direttamente correlate ai trattamenti, quali quelle versate per le spese di funzionamento del Fondo Regioni. In totale quindi la cifra arriva a 1,4 miliardi di euro. A questo si deve aggiungere che lo stanziamento per le indennità di risultato è aumentato dal 2019 al 2020, passando da 7,5 milioni di euro a 8 netti.

Per gli stipendi dei dipendenti delle partecipate vengono spesi 467 milioni di euro. Cifre astronomiche a cui non corrisponde una altrettanta efficienza. Uno studio della Banca d’Italia rileva che in Sicilia vi è una dilatazione del 60% rispetto alla media nazionale dei tempi di realizzazione delle opere pubbliche e per questo la Sicilia ha il triste primato di opere incompiute: 162 che si traduce in uno spreco di 488 milioni di euro. Guardano anche alle opere in ritardo, l’Ance ha stimato un danno totale di 5 miliardi di euro. Una cifra enorme. Serve un cambio di passo, spesso annunciato dal Governatore Musumeci che più volte si è espresso negativamente sui dipendenti regionali, ma invece di tirare i cordoni della borsa verranno corrisposti ulteriori 52 milioni di euro complessivi per aumentarne gli stipendi.

Regione Sicilia: conti in rosso con buco da 7 miliardi ma commissiona  divise di lusso per i dipendenti | Borsainside.com

Sud, l’atavica incapacità di guardare allo sviluppo

Al Sud più che mai c’è bisogno di rinnovare e rafforzare la macchina amministrativa degli enti locali.
È quanto emerge dal Rapporto 2021 della Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno.

Nel suo rapporto sullo stato dell’economia e della società del Sud Italia viene sottolineato come ci sarà l’opportunità di guardare con attenzione agli investimenti, grazie ai fondi che arriveranno dal Pnrr, ma che lo si farà con una macchina amministrativa ancora troppo appesantita.
“L’elemento che crea maggior preoccupazione, aldilà del numero di dipendenti in senso stretto – viene scritto nel Rapporto – è probabilmente il basso livello di competenze cui si accompagna quello di una presenza di under 35 non significativa. Appare chiara l’esistenza di un gap qualitativo, che aggrava gli effetti di quello quantitativo, assolutamente da colmare”.

La pubblica amministrazione, alla luce delle enormi sfide che ha davanti (rilancio post pandemia, utilizzo dei fondi del Pnrr, transizione digitale ) ha bisogno di nuove competenze e capacità che dovranno da un lato essere garantite dai nuovi ingressi (favoriti anche dalle norme semplificate per i concorsi pubblici), ma anche di funzionari amministrativi e tecnici qualificati ai quali conferire un grado di responsabilità che dalla semplice consulenza può giungere ai poteri sostitutivi.

“Una PA più efficiente è elemento cardine dello sviluppo di un Paese – avverte Svimez – investire in efficienza dovrà essere la parola d’ordine per il futuro”.

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