Il sindaco di un Comune di 30 mila abitanti ha percepito nel 2021 una indennità mensile di 2.788 euro lordi. Nel 2024 saliranno a 4.140 euro, un aumento del 50 per cento. Aumenti simili per assessori, presidente del Consiglio, consiglieri comunali, a seconda della categoria, della popolazione residente e di un meccanismo con cui nel 2022 è iniziato l’incremento delle indennità di funzione per gli amministratori locali che sarà progressivo e si completerà nel 2024. A stabilirlo, la Legge di bilancio 2022 varata dal governo Draghi, la n. 234 del 30 dicembre 2021. In Sicilia la disposizione nazionale è stata recepita il 25 maggio 2022, con la legge regionale 13. E qui i nodi, rigorosamente economici, vengono al pettine. Normalmente questi aumenti li sostiene lo Stato, ma non in Sicilia, Regione a statuto speciale dove i rapporti di finanza locale sono diversi. Tanto che, in una circolare del 17 giugno 2022, l’allora assessore regionale alle Autonomie locali, Marco Zambuto, specificava lapidario che sono “oneri a carico degli enti”. In sostanza, gli amministratori siciliani che desiderano aumentare la propria indennità, devono caricarla sul bilancio del Comune, pagandola con proprie risorse.

Nel momento in cui la Regione dispone che siano i Comuni, autonomamente, a stabilire se adeguare o meno le indennità degli amministratori locali, in base alle possibilità finanziarie di ciascun ente, ci saranno sindaci che decideranno di sostenere questi costi e altri che eviteranno, per non gravare ulteriormente sui bilanci e quindi sui propri concittadini. Tuttavia, per il segretario di Anci, questo adeguamento ha anche un importante significato, perché finalmente riconosce “una dignità istituzionale, quella di sindaci, presidenti del Consiglio e altri amministratori locali, che non può essere discrezionale. In tutta Italia c’è lo stesso trattamento – prosegue Alvano – e queste discussioni non andrebbero fatte. La Regione dovrebbe intervenire sul piano normativo e finanziario per coprire questo ulteriore costo che ingiustamente si sta caricando, solo in Sicilia, sui Comuni. Se vogliamo essere pratici, stiamo mettendo sulla testa degli amministratori locali un ulteriore elemento di tensione, dove sulla testa dei sindaci c’è già un responsabilità che difficilmente si rinviene in altre cariche. È la spia di qualcosa che non funziona: la mancata armonizzazione dei rapporti finanziari a tre tra Stato, Comuni ed enti locali. In questi accordi c’è un pezzo che manca, bisogna tenere conto dei ruoli che hanno i Comuni”. Uno dei risultati è questo delle indennità e non è il solo”.

“Perché dovrebbe esserci una copertura a carico della Regione?”, si chiede Andrea Messina, assessore regionale delle Autonomie locali, secondo il quale “l’integrazione non la deve fare la Regione. Lo Stato ha aumentato l’indennità. Fuori dalla Sicilia l’indennità aumentata l’ha pagata il ministero degli Interni, nelle regioni ordinarie, perché vige un altro rapporto di finanza locale. La Sicilia ha rapporti differenti di finanza locale, per via dello Statuto e della storia degli ultimi 50 anni e le indennità sono a carico dei bilanci comunali. Non c’è nessuna legge, direttiva, indicazione perché l’integrazione la debba pagare la Regione mentre la parte di base la paga il Comune”. Per l’assessore non ci sarebbe quindi nessuna omissione e ogni Comune dovrebbe provvedere col proprio bilancio e soprattutto con la propria scelta amministrativa. “Alcuni Comuni hanno provveduto all’adeguamento e altri no – prosegue Messina – perché magari non ci vogliono mettere i soldi o la faccia. Chi non vuole metterci i soldi o la faccia, chiede soldi alla Regione. Richiesta forse legittima, ma diventa illegittimo il percorso legislativo. E poi bisogna trovare la copertura: per tutta la Sicilia si stratta di decine di milioni di euro. Ci vuole una legge. Se domani si valuta e si decide che i Comuni abbiano diritto, si dovrà vedere il da farsi. Ma oggi la realtà è questa”, conclude l’assessore.

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