Le imprese in Sicilia ricorrono sempre meno ai prestiti delle banche per sostenere la propria attività lavorativa. I motivi sono tanti, dal rallentamento dell’economia mondiale al forte inasprimento del costo del denaro imposto dalla Bce, con i conseguenti aumenti dei tassi di interesse. Una situazione, come rileva il quotidiano online QDS, che desta allarme e preoccupazione: secondo l’ufficio studi della Cgia, molti imprenditori stanno ricorrendo all’autofinanziamento, prelevando i propri risparmi allocati sul conto corrente, considerato anche che la remunerazione dei depositi italiani è tra le più basse d’Europa. Banche in Sicilia, situazione allarmante In Sicilia quasi tutte le provincie fanno segnare valori negativi in termini di cosiddetti “impieghi vivi” alle imprese, i prestiti al netto delle sofferenze e dei pronti conto termine. Secondo i dati elaborati dalla Cgia, a partire dai numeri forniti dalla Banca d’Italia, relativi a maggio 2023, è Siracusa a presentare i peggiori risultati nella regione, con una variazione percentuale in negativo, rispetto a maggio 2022, del 7,7%, ben più in alto della media nazionale, che si ferma al -4,5%. Percentuali fortemente negative anche a Enna, al -5,8%, e a Palermo, al -5,1%. Al di sotto della media nazionale, ma ancora con numeri importanti, Caltanissetta al -3,8%, Agrigento al -2,8% e Catania al -1,9%. Unica nota positiva, la provincia di Trapani, che segna un aumento degli impieghi vivi del 3,5%, con un aumento in valori assoluti di oltre 59 milioni di euro di prestiti concessi. La Sicilia, in totale, presenta una variazione media del -3,1%, e una riduzione in termini assoluti di più di mezzo miliardo di euro. I valori siciliani si mantengono ben al di sotto delle percentuali negative raggiunte a Trieste, prima nella classifica delle province, dove si arriva a una percentuale del -15%, o Aosta, che segue con il -14,6%. Pochissimi i territori in cui si rilevano valori positivi, a partire da Isernia, che aumenta i prestiti del 16,5%, seguita da Reggio Emilia, al 4%, e Bologna, al 3,7%. La strada dell’autofinanziamento Secondo la Cgia, l’autofinanziamento delle imprese è sostenuto dai dati, sempre forniti dalla Banca d’Italia, relativi ai depositi bancari delle imprese, che diminuiscono di circa 21 miliardi e mezzo di euro tra maggio 2023 e maggio dello scorso anno. In particolar modo, sono le imprese di media e grande dimensione ad aver deciso per questa strategia, mentre molto meno vi hanno attinto le microimprese, che segnano una riduzione dei depositi di solo lo 0,7%. “È evidente che il ricorso all’autofinanziamento non potrà durare a lungo – si legge nella nota della Cgia – e con il forte rallentamento dell’economia mondiale in atto corriamo il pericolo di scivolare verso una nuova recessione”. Il dubbio dei ricercatori della Cgia è che a livello europeo si sia “preferito, attraverso il continuo aumento del costo del denaro, spingere l’Europa verso una nuova crisi economica, anziché avere una inflazione che le previsioni di fine 2022 stimavano per l’anno in corso, comunque, in deciso calo e su un valore medio attorno al 6%. Ovviamente è una provocazione, ma un fondo di verità c’è. Eccome”. Se queste scelte hanno comportato un generale impoverimento delle famiglie italiane, le banche hanno registrato risultati di bilancio straordinariamente positivi. Nel 2022, infatti, gli istituti di credito italiani hanno totalizzato, al netto delle imposte, 21,8 miliardi di euro di utili, praticamente 8 miliardi in più rispetto al 2021, e l’andamento è stato confermato nei primi sei mesi dell’anno in corso. “Ora ci auguriamo – concludono dalla Cgia – che questi vantaggi economici accumulati nell’ultimo anno e mezzo vengano in parte redistribuiti, riconoscendo, ad esempio, una remunerazione ‘dignitosa’ a chi continua a tenere i propri risparmi nel conto corrente bancario”. Navigazione articoli Preoccupante dato Istat in Sicilia: “Un giovane su tre non studia e non lavora“ Caro spesa ed inflazione, accordo con le associazioni: prezzi calmierati dal 1° ottobre